🌎⚡ Strategia globale per il clima: come l'accordo di Parigi mira a trasformare l'economia
🌍🌿 L'“Accordo di Parigi”, adottato il 12 dicembre 2015 alla Conferenza mondiale sul clima di Parigi, rappresenta una pietra miliare significativa nella lotta globale contro il cambiamento climatico. È in linea con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile adottata di recente e obbliga un totale di 195 paesi a frenare attivamente il cambiamento climatico e a trasformare gradualmente l’economia internazionale in modo rispettoso del clima.
L’Accordo di Parigi sul clima è stato ratificato da 194 Stati e dall’Unione Europea, per un totale di 195 parti. Ciò include quasi tutti i membri delle Nazioni Unite e l’UE come partito indipendente. Tre paesi (Iran, Libia e Yemen) hanno firmato l’accordo ma non lo hanno ancora ratificato.
Tre obiettivi centrali dell’accordo sono stabiliti all’articolo 2:
- Il riscaldamento globale dovrebbe essere significativamente limitato e idealmente ridotto a 1,5 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali, ma in ogni caso rimanere al di sotto dei due gradi Celsius.
- Le emissioni di gas serra dovrebbero essere ridotte e la società dovrebbe adattarsi alle conseguenze del cambiamento climatico.
- I flussi finanziari dovrebbero essere gestiti in modo coerente in conformità con gli obiettivi concordati di protezione del clima.
L’obiettivo è quello di avviare una trasformazione verso un’economia globale sostenibile e rispettosa delle risorse, al fine di contenere il più possibile la progressione del cambiamento climatico e garantire i mezzi di sussistenza delle generazioni future.
A questo scopo il Climate Protection Index (KSI) è uno strumento importante che contribuisce a rendere la politica climatica internazionale più trasparente e comprensibile. Sviluppato dall’organizzazione tedesca per l’ambiente e lo sviluppo Germanwatch eV, il KSI funge da punto di riferimento per valutare le prestazioni di protezione del clima dei paesi di tutto il mondo. Vengono esaminati 63 paesi e l’Unione Europea, che collettivamente sono responsabili di oltre il 90% delle emissioni globali di gas serra. Dalla sua prima pubblicazione nel 2005, l’indice è stato aggiornato annualmente e presentato alle conferenze sul clima delle Nazioni Unite.
Il KSI è creato in collaborazione con il NewClimate Institute e il Climate Action Network International, sostenuto dal sostegno finanziario della Barthel Foundation. Utilizzando criteri uniformi, l’indice offre una valutazione comparabile che consente di evidenziare progressi e deficit nella protezione del clima.
Adatto a:
🌐📊 La struttura dell'indice di protezione del clima
Il KSI si basa su quattro categorie principali, ciascuna delle quali ha un peso diverso:
1. Emissioni di gas serra (40%)
Questo valuta l’efficacia con cui un Paese ha ridotto le proprie emissioni e se si trova su un percorso compatibile con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima.
2. Energie rinnovabili (20%)
Questa categoria esamina la quota di energia rinnovabile nel mix energetico di un paese e i suoi progressi nell'espansione delle fonti energetiche sostenibili.
3. Consumo energetico (20%)
L’attenzione qui è rivolta all’efficienza energetica e al consumo energetico assoluto pro capite.
4. Politica climatica (20%)
Questa categoria analizza le azioni che i governi stanno intraprendendo a livello nazionale e internazionale per combattere il cambiamento climatico.
I risultati di queste categorie vengono combinati per creare un punteggio complessivo che classifica i paesi. Abbiamo volutamente evitato di assegnare i primi tre posti per sottolineare che attualmente nessun Paese si sta muovendo con sufficiente ambizione per superare completamente la crisi climatica.
🏆💡 I primi classificati nel KSI 2024
Nell’attuale Climate Protection Index 2024, i paesi scandinavi come Danimarca e Svezia in particolare mostrano ottimi risultati nella lotta contro il cambiamento climatico. Questi paesi sono caratterizzati da obiettivi climatici nazionali ambiziosi, da un’elevata percentuale di energie rinnovabili e dall’attuazione coerente delle politiche climatiche. Anche il Marocco è da anni uno dei pionieri del KSI: un esempio notevole di come anche i paesi del Sud del mondo possano assumere un ruolo guida attraverso investimenti mirati nell'energia solare ed eolica.
La Germania è a metà classifica. Sebbene il Paese abbia compiuto progressi nella transizione energetica e si stia concentrando sull’espansione delle energie rinnovabili, permangono sfide come le elevate emissioni nel settore dei trasporti e i ritardi nell’eliminazione graduale del carbone.
🚨❌ Paesi che devono recuperare terreno
I grandi emettitori come Cina, Russia o Arabia Saudita, nonché alcuni paesi emergenti, sono spesso in fondo alla classifica. Questi paesi non hanno adottato misure sufficienti per ridurre le proprie emissioni oppure continuano a fare molto affidamento sui combustibili fossili come carbone e petrolio. Una valutazione particolarmente critica viene effettuata quando gli obiettivi climatici nazionali non corrispondono ai requisiti dell’Accordo di Parigi o quando manca una chiara strategia di decarbonizzazione.
💡📣 Perché il KSI è importante?
L’indice di protezione del clima svolge diverse funzioni chiave:
Sensibilizzazione
Rendendo visibili i progressi e i deficit, sensibilizza i politici e il pubblico sull’urgenza di ambiziose misure di protezione del clima.
comparabilità
Utilizzando criteri uniformi, il KSI consente un confronto obiettivo tra i paesi e mostra quali misure sono particolarmente efficaci.
incentivo
I paesi possono rafforzare la loro reputazione internazionale attraverso un buon posizionamento nell’indice e allo stesso tempo fare pressione sugli altri paesi affinché aumentino i loro sforzi.
Un esempio dell’impatto del KSI è la crescente disponibilità di molti paesi ad adeguare al rialzo i propri obiettivi climatici, spesso in risposta alle valutazioni negative dell’indice.
🌱⚡ Sfide nell'attuazione delle misure di protezione del clima
Nonostante gli sviluppi positivi, esistono numerosi ostacoli all’attuazione di una politica climatica efficace:
1. Interessi economici
In molti paesi, le priorità economiche, come preservare i posti di lavoro nelle industrie dei combustibili fossili o la crescita economica, sono in conflitto con gli obiettivi della politica climatica.
2. Instabilità politica
Soprattutto nei paesi in via di sviluppo, le incertezze politiche o la mancanza di capacità istituzionale ostacolano l’attuazione di misure a lungo termine.
3. Cooperazione internazionale
La natura globale del cambiamento climatico richiede una stretta cooperazione tra gli Stati, un obiettivo spesso complicato dalle tensioni geopolitiche.
4. Finanziamento
I costi della transizione verso un’economia a zero emissioni di carbonio sono elevati, soprattutto per i paesi più poveri che spesso fanno affidamento sul sostegno dei paesi sviluppati.
🚀🌎 Prospettive per il futuro
Per portare avanti la lotta globale contro la crisi climatica, tutti gli attori – dai governi alle aziende fino alla società civile – devono intensificare i propri sforzi:
Obiettivi più ambiziosi
È fondamentale che i paesi allineino i loro contributi determinati a livello nazionale (NDC) più strettamente alle prove scientifiche e fissino obiettivi di riduzione più ambiziosi.
Innovazioni tecnologiche
L’espansione delle tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio e i progressi nel campo delle energie rinnovabili possono rappresentare leve cruciali.
Rafforzare gli accordi internazionali
Iniziative come l’Accordo di Parigi devono essere ulteriormente sviluppate per creare impegni e meccanismi più vincolanti per verificarne la conformità.
Promozione della giustizia globale
I paesi particolarmente vulnerabili necessitano di sostegno finanziario e accesso alle tecnologie per adattarsi alle conseguenze del cambiamento climatico, promuovendo allo stesso tempo lo sviluppo sostenibile.
L’indice di protezione del clima mostra chiaramente dove si stanno facendo progressi e dove è necessario recuperare il ritardo, sia nei paesi industrializzati che nel sud del mondo. Mentre alcuni paesi stanno già fungendo da modelli e adottando misure ambiziose, c’è ancora molto da fare a livello mondiale per raggiungere l’obiettivo di un mondo climaticamente neutro entro la metà del secolo. Il KSI ci ricorda che la trasparenza e la comparabilità sono essenziali per creare pressione politica e realizzare un cambiamento reale, perché solo attraverso l’azione collettiva è possibile superare la crisi climatica globale.
Quali paesi non hanno ratificato l’accordo sul clima?
Tre paesi non hanno ancora ratificato l’Accordo sul clima di Parigi del 2015: Iran, Libia e Yemen.
L’Iran è il più grande emettitore tra questi paesi, rappresentando circa il 2% delle emissioni globali di gas serra. La mancata ratifica è giustificata principalmente dalle sanzioni internazionali contro il Paese, che rendono più difficili gli investimenti nelle energie rinnovabili e in altre misure di protezione del clima. L’Iran ha segnalato che ratificherà l’accordo se le sanzioni verranno revocate.
Anche la Libia (0,16% delle emissioni globali) e lo Yemen (0,03%) non l’hanno ratificato. Entrambi i paesi sono caratterizzati da instabilità politica e conflitti, che rendono difficile l’attuazione degli accordi internazionali.
Questi tre paesi insieme contribuiscono per circa il 2,19% alle emissioni globali, mentre 194 paesi e l’Unione Europea hanno già ratificato l’accordo.
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✍️ Perché Iran, Libia e Yemen non hanno ratificato l'Accordo di Parigi
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